LE ARPIE

LE ARPIE

E’ l’appellativo che diamo ancora oggi ad una donna dal molesto  carattere e dall’atteggiamento sgradevole. Molesto e sgradevole come la Morte.

Sì! Perché le Arpie, queste abominevoli creature, erano proprio la personificazione della  Morte.
Fin dalle origini furono considerate la personificazione di Ecate, la Dea della Morte, la quale viveva nell’isola di Eea, dove lavorava al telaio accompagnandosi con il suo canto lamentoso.

Per un po’ le Arpie risedettero nel Giardino delle Esperidi, in sembianze di nibbi, uccelli sacri, cui veniva offerto del cibo. In seguito furono messe in fuga dagli Argonauti su richiesta di re Fineo (come si vedrà) e relegate sull’isola di Strofadi, dove finì per imbattersi Enea in fuga da Troia (si vedrà).

Figlie di Taumante e della ninfa oceanina Elettra, le Arpie erano mostruose creature alate: testa e busto di donna, corpo di uccelli. Così come le Sirene. E non vivevano in acqua come queste, ma nel sottosuolo: grotte, caverne, anfratti.
Orride a vedersi, erano anche sgradevoli all’olfatto: il loro era l’odore della Morte, di cui, come si è già detto, erano la personificazione.
Personificazione anche dei venti della Tempesta,  funzione che evocavano anche nei nomi: Aello la-Tempestosa, Cileno
La-Oscura, Ocipite la Rapida-in-volo.
A queste prime tre se ne aggiunsero presto delle altre: Ocitoe, Alopo, Tiella…
Tra i compiti loro assegnati c’era quello di trasportare in volo nell’Erebo le anime dei morti di morte violenta e quello di acciuffare i colpevoli e consegnarli alle Erinni.
Tra i loro sollazzi, invece, quello di insozzare  tavole imbandite.
Entravano nelle case svolazzando, rubavano il cibo dalle tavole e insozzavano il resto per renderlo immangiabile.

Lo fecero con Enea, insozzandone più volte la tavola fino a quando l’eroe non perse la pazienza e non le mise in fuga con le armi.
Lo fecero con Fineo, Re-Indovino, accecato dgli Dei per i suoi oracoli troppo precisi e veritieri.
Fineo chiese agli Astronauti, di passaggio attraverso il suo Regno per raggiungere la Colchide e il Vello d’Oro, di liberarlo di quel tormento.
Gli Argonauti, tutti eroi di grande tempra, acconsentirono,   ma con la loro partenza, i guai di Fineo ritornarono.

Quello che gli accadde assomiglia davvero molto alla favola di Biancaneve.
Morta Cleopatra, la prima moglie, Fineo aveva impalmato in seconde nozze la bella ma perfida principessa Idea.
Per liberarsi del marito e dei tre figli che questi aveva avuto dalla prima moglie, questa donna diabolica non si fermò davanti a nulla per mettere in atto i suoi piani.
Per prima cosa accusò i tre giovani dei più gravi delitti riuscendo a farli gettare nelle prigioni di palazzo.
Non paga di ciò, tramò per sbarazzarsi del marito, cieco e vulnerabile,  tentando di farlo morire di fame.
Quasi ci riuscì!
Come?
Insozzando la tavola, ogni volta che Fineo vi si accostava per mangiare e facendogli credere che a farlo fossero state le Arpie, tornate a tormentarlo dopo la partenza degli Argonauti.
Fineo sarebbe sicuramente morto di fame se Zete e Calaide, i fratelli della prima moglie, non si fossero accorti dell’inganno.
I due fecero anche liberare i poveri nipoti dal carcere in cui languivano e la cattiva Regina fu punita come meritava.