Al galoppo attraversarono la Suburra; i passanti si scansarono al loro passaggio e una frotta di scalmanati attirò la loro attenzione.
"Aquilinus! - esclamò Marco indicando una smilza figura nascosta in un mantello dalle nappe alla giudea, strappato in più punti e rattoppato alla meglio. Pareva il bersaglio delle attenzioni di una poco raccomandabile turba - Qualcuno è riuscito a spezzare il tuo volo, aquilotto?" scherzò, quando si fu avvicinato al gruppo.
La faccetta furba del piccolo non pareva, in verità, molto preoccupata. Gli occhi, mobili come saette, aguzzi come quelli del rapace di cui portava il nome, dardeggiavano intorno alla ricerca di una via di scampo; in entrambe le mani stringeva sassi.
"Che cosa succede qui? Cosa volete da questo sbarbatello?" domandò Marco al più vicino di quelli che circondavano il piccolo.
"E' uno sporco ebreo-cristiano." rispose l'interpellato che, come quasi tutti, non faceva molta distinzione tra ebrei e cristiani.
"Imbecille! - replicò Marco - Non vedi che è solo un ragazzo?"
"E' una piccola chiavica di fogna, signore.- insistette quello - E come tutti i topi di fogna bisognerebbe arderlo come una torcia. Io lo conosco, tribuno. Si chiama Joshua, ma si fa chiamare Aquilinus, per via della velocità con cui ti porta via la borsa."
"Lo conosco anch'io. - seguì una seconda voce- E' un ladro."
"Chiamate le guardie!.- una terza voce - C'è bisogno di delinquenti per l'arena ai prossimi giochi in onore del nuovo Cesare."
"Non sapete che il nuovo Cesare - interloquì Fabio - ha permesso ad ogni cittadino... e perciò anche ai cristiani, di rendere onore e gloria ai propri Dei?"
"Puah!" fece uno di quelli girando le spalle per allontanarsi.
Erano tutti bottegai della borgata: Cleonte il panettiere, Brutus il barbiere, Fidelius il carbonaio e dovevano aver fatto più volte la conoscenza con quell'aquilotto infreddolito.
"Calma! - replicò Fabio - Le prigioni si sono appena svuotate. Vorresti già riempirle?"
"Macché ebreo, macché cristiano! Gente rammollita, quella. - protestava il piccolo - Io cristiano? State scherzando?"
"Bugiardo! - replicava l'altro - Ti dico, centurione, che questo piccolo manigoldo, cristiano oppure no, era stato colto con le mani nella borsa di una patrizia ed era destinato all'arena. Si vantava di essere già stato in carcere e di non esserci mai restato a lungo."
"Mai a lungo. Certo! - continuava a protestare il piccolo bandito.- Vi sembra che abbia necessità di camuffarmi da stupido ebreo-cristiano per alleggerire qualche borsa? - ora che aveva la protezione di un tribuno e di un centurione, Aquilinus stava diventando sfrontato ed insolente - Ho detto che non sono mai rimasto in prigione perché il mio difensore... - e qui, l'impareggiabile monello mise in mostra tutto l'estro che la vita randagia gli aveva insegnato per sottrarsi alle difficoltà - il mio difensore, dicevo, Cleonte Arpaga, il Greco, possiede un'oratoria che eguaglia e supera quella di quel certo Tullio Cicerone che scavò la fossa al povero Catilina... Sapete di che parlo, vero?... Lui convince sempre il Procuratore della mia innocenza - aggiunse
tirando su col naso con finta noncuranza - perché io sono innocente come un agnello della Pasqua ebraica. Possa io diventare ottuso come un giudeo, se questo non è vero!"
"Basta! - intervenne Marco - Basta così! Per quest'oggi, piccolo manigoldo, togliti dalla mia vista. E voi. - il tribuno si girò verso gli altri con cipiglio determinato - Andate anche voi! Tutti!... Basta, per ora, gettare gente nell'arena. Via!... Disperdetevi!"
Ubbidirono. Si allontanarono tutti, manifestando contrarietà e malumore e prendendo a calci sassi e rifiuti. Anche Aquilinus si allontanò, masticando un motivetto in voga, ma, fatti pochi passi:
"Porta alla mia amica Livilla i miei saluti, centurione.- disse, voltandosi - E che non si ficchi ancora nei guai!... Non c'è sempre Aquilinus a tirarvela fuori!"
Fabio ebbe un sorriso, scosse il capo, spronò il cavallo e seguì l'amico, che gli domandava:
"E' vero quanto hai detto a quella plebaglia... che il nuovo Cesare tollera il culto di questi cristiani... al contrario di Nerone?"
"Ha emesso un proclama. - assentì il centurione - Dietro congrua pecunia, ognuno è libero di..."
"Oh.oh.oh... - lo interruppe il suo tribuno - Volevo ben dire: il nuovo Cesare è un ottimo Praefectus domui... " rise, sull'onda della voce del piccolo che li seguì per un po', mentre intonava:
"Mi compiaccio io delle opere di Dionisio e delle Muse, che portano gioia agli uomini..."
Aquilinus s'infilò in uno di quegli stretti itinera, più impraticabile che mai, con la pioggia, girando e rigirando i sassi nelle piccole mani arrossate dal freddo: un mese assai freddo e piovoso, il giugno di quell'anno. Non voleva darlo a vedere, ma in realtà quell'episodio lo aveva irritato e reso aggressivo.
"E'' dolce la stagione della raccolta..." continuava a cantare, in un crescendo sempre più elevato, fino a squarciagola.
Svoltato l'angolo si fermò, per consentire, forse, a un'improvvisa idea di farsi avanti nel cervello, poi tornò indietro.
Estrasse la fionda da sotto la tunica, vi infilò un sasso e mise a punto un tiro che centrò in pieno Brutus il barbiere, tornato al suo cliente ancora seduto sull'uscio della bottega.
"Prendi, sfilapidocchi!" urlò, dandosi a fuga precipitosa.
"Piccola peste! Se ti prendo..." urlò quello lasciando il posto di lavoro; quando sbucò sulla strada, però, di Aquilinus non c'era traccia. Si guardò intorno: era impossibile scomparire a quel modo su un piazzale aperto su cui si affacciavano solo Templi, Palazzi e grandi statue.
C'erano l'immenso vestibolo della Domus Aurea, la Meta Sudans e la statua di Nerone, un colosso di bronzo alto più di trentacinque metri, opera dello scultore Zenodoro.
"Ma dove è finito? - sempre più furente, le mani che gli prudevano, il barbiere si fermò ai piedi del grande pilastro che reggeva la colossale statua. - Dove è finito quella disgrazia del genere umano?... Non può essere svanito nel nulla..."
Se solo fosse riuscito a disciplinare un pò meglio le proprie emozioni, l'irascibile barbiere avrebbe, forse, udito un respiro affannoso proprio sopra la sua testa, provenire dall'interno del colosso: Aquilinus era rannicchiato lassù. Il barbiere continuò ancora a guardarsi intorno; alzò perfino gli occhi sul colosso, poi si girò per tornare indietro.
Quel colosso, o più esattamente, il possente torace, era diventata la nuova tana di Aquilinus. L'aveva scoperta quasi per caso e subito adottata. C'era un'apertura sul retro del polpaccio della gamba sinistra: stretta e bassa, ma sufficiente a farvi passare un uomo.
Aveva visto un giorno un operaio infilarvisi e scomparire al suo interno e da quel momento, quel simbolo di potere e grandezza imperiale, era diventato la sua nuova "casa".
Inaspettata utilità della megalomania di un Cesare!
Ne aveva tante altre di tane sparse per la città. Tutte sotterranee, in fornici, cloache e cisterne, ma quella, che si elevava verso il cielo, lo appagava ed inorgogliva più di ogni altra. Per il piccolo derelitto quella non era solamente una casa, non era solo il posto ove riporre refurtiva, ripararsi dal freddo, mangiare, dormire e non era neppure il luogo dove smaltire malinconie, sbronze occasionali e qualche lacrimuccia traditrice: quella era la rivincita contro la società che lo aveva ripudiato. Era la conquista. Era l'occupazione: scacciato ed emarginato, rifiutato e allontanato, egli si appropriava della cosa pubblica.
A Cesare, quell'ammasso armonioso di travi e legno ricoperto da lastroni di bronzo, serviva per realizzare un'idea di grandiosità e immortalità, per il piccolo rifiuto della società era un rifugio contro il freddo, il fango, la neve, la pioggia, la notte, la gente!
"Per le Sacre Bevute di Bacco! - esclamò sentendo allontanarsi i passi del suo occasionale nemico - Ho temuto proprio che quell'impiccione scoprisse il mio rifugio. Ah!.. non è facile seguire le tracce di Aquilinus! Brutto cane rognoso di un cavapidocchi!.."
Un lungo sospiro, poi il ragazzo si mosse. Si arrampicò su per la scala a chiocciola che dall'interno della gamba portava fino al bacino dell'immensa statua. Qualcosa, però, ad ogni gradino che saliva, forse quel sesto senso, il senso della sopravvivenza, così sviluppato in ogni naufrago della vita, lo avvertì di non essere solo, là dentro. Lo mise in guardia. Qualcuno aveva scoperto il suo segreto: qualcuno, di sopra, che aveva preso a tossire e che respirava così affannosamente da sembrare l'ansimare di un animale ferito.
Si compiacque con se stesso per aver conservato uno dei sassi e continuò a salire. Lentamente e con circospezione, ma decisamente. La sua faccetta infreddolita e imbronciata, riemerse all'altezza del bacino della possente scultura, sull'orlo del buco tenebroso della gamba. Là sopra non era così buio come di sotto. L'assemblaggio dei lastroni di bronzo permettevano una leggera penombra, sufficiente a vedere di dentro.
Prima di balzare su dalla botola, Aquilinus guardò a destra poi a sinistra e infine sopra la testa, ma non vide nessuno.
Sentì ancora un colpo di tosse, nitido e violento.
"Chi c'è qui?" domandò sollevando la mano armata di sasso e cercando con l'altra, con la sicurezza di chi si muove in casa propria, l'asse di legno accostato a una sporgenza.
"Chi c'è qui?" ripeté la domanda.
Ora che la vista si era assuefatta all'oscurità, vide ben chiare due ombre emergere dall'oscurità.
"Sono io!" una voce timida e spaventata provenne dal fondo dell'antro.
"Io chi?.. Per la Siringa di Pan! Fatti vedere."
L'inatteso misterioso ospite avanzò di qualche passo.
"Fermo!... Fermo! Fermati! - il padrone di casa lo fermò con un gesto perentorio della mano armata di spranga - Fatti guardare un po'... Fa un po' vedere a chi appartiene la faccia di questo io!... Marcus!?!" esclamò, quando un flebile raggio di luce, penetrando da una fessura, illuminò la faccetta dell'intruso.
"Sono io!"
"Sempre tu!...- sospiròAquilinus, lasciando andare spranga e sasso - Cosa ci fai qui? Come hai fatto a scoprire questo nascondiglio?"
"Me lo hai detto tu!"
"Io?... E chi c'è lì con te?"
Qualcuno alle spalle del monello stava schiarendosi la gola.
"C'è Linus con me."
"Ah! Dovevo immaginarlo! Linus è l'ombra di Marcus. Per la Siringa di Pan! Ti porti dietro anche i clienti?" scherzava e, intanto che parlava, si muoveva all'interno dello scheletro di legno e ferro, gigantesco e tondo, come dentro una grossa botte cerchiata e attraversata da assi, spranghe, sostegni, catene, scale, corde.
Un ennesimo colpo di tosse, più forte e stizzoso ancora, gli fece rizzare nuovamente il capo e aguzzare la vista. C'era un pagliericcio laggiù.
Quattro assi di legno poggiate su due rientranze e un saccone di paglia, una coperta sdrucita e dal dubbio colore: il letto del padrone di casa.
"Altri ospiti? - domandò - Qualche piscialetto tuo amico?"
"Non un piscialetto. - spiegò Marcus con candore - Una ragazza."
"Una ragazza?...Una ragazza nel mio letto?... Per il Cinto di Venere!... Che cosa ci fa una ragazza nel mio letto? Perché una ragazza è finita dentro il mio letto?"
"Fuori fa freddo!"
"Lo so!"
"Ha ripreso a piovere."
"Ho visto!"
"Hai sentito come tossisce?"
"Ho sentito!"
"E' per lei che siamo venuti qui. Per metterla al riparo dal freddo e non aggravare la sua malattia di petto."
"Perché? Non ha una casa o un padrone?"
"Ma è proprio da lì che Marcella è scappata e..."
"Scappata? - lo interruppe ancora Aquilinus; il piccolo compagno di Marcus seguiva in silenzio il dialogo - E' una schiava in fuga?"
"No! - spiegò l'altro - Sua madre, così mi ha raccontato, vuole metterla in un bordello... In una locanda della Suburra e..."
Per la terza volta il piccolo brigante interruppe il suo protetto.
"E allora?... Non mi pare una sistemazione disdicevole. Cibo, abiti e un tetto sopra la testa per ripararsi dal freddo, l'avrebbe! No?"
"No! - l'altro ebbe una scrollatina di spalle - Lei dice che vorrebbe stare con i cristiani!"
"Uhhh!... Buoni quelli! Per colpa loro quasi mi beccavo un sacco di legnate, poco fa!"
"Io pure ho cercato di dissuaderla e le ho fatto..." tentò di spiegare Marcus ma per l'ennesima volta l'altro gli impedì di continuare.
"Avete fame? - domandò - Avete mangiato qualcosa?"
"Io ho fame! - interloquì infine il piccolo Linus, facendo spuntare un visetto sporco e un nasino arrossato, nell'angolo tra il braccio sinistro piegato e il fianco di Marcus - Io ho fame, signore!" ripeté.
L'esile torace del piccolo brigante dei fornici si gonfiò di compiacimento e orgoglio a quell'epiteto: Signore! Lo sguardo acuto da animale da preda si caricò di improvvisa responsabilità!
"Tu resta qui con la ragazza. - ordinò a Marcus, col tono di chi prende le decisioni, poi puntando l'indice verso Linus - Tu invece verrai con me, ma prima proviamo a coprire questa ragazza." aggiunse all'ennesimo colpo di tosse dell'intrusa.
Aquilinus si tolse il mantello e con quello cercò di coprire la ragazza: troppo piccolo, però, per ripararla tutta.
"Ah!... Forse a Giove piace guardare le nudità di questa ragazza... Giove è fatto così, ma Aquilinus non si dà per vinto." continuò, mettendosi alla ricerca, fra mucchi di cenci, di qualcosa con cui coprire la ragazza. che, silenziosa e immobile, lo lasciò fare; al petto stringeva un sacchetto legato al collo, che stringeva forte con entrambe le mani.
"Che cos'hai in quel sacchetto, Marcella?.. Ti chiami Marcella?" si incuriosì la piccola canaglia; non ebbe risposta.
"Pane! - fu Marcus a spiegare - Pane Sacro... Io credo."
"Che cosa significa? - Aquilinus aggrottò il ciglio - Si tratta, forse, di pane destinato a qualcuno di quegli Immortali oziosi e con la pancia già piena?"
"No! No! - s'affrettò a spiegare il piccolo - Si tratta di... ostia..."
"E che cosa sarebbe mai?"
"E' il pane sacro dei cristiani... fatto della carne e del sangue del loro Cristo..."
"Vuoi dire che si tratta di un pezzo di carne sanguinolente?" fece il piccolo ladro dei fornici con profondo disgusto.
"Oh, no! - sempre Brutus, la ragazza continuava a tacere - E' farina di grano impastato con acqua..."
"... e non si può mangiare!... Ho capito! Sù Andiamo." disse infine, con un cospiro, lanciando un'ultima occhiata alla ragazza che lo gratificò con lo sguardo più riconoscente del mondo.
"Dove andiamo?" domandò Linus.
"A cercare del cibo, naturalmente. E a procurare qualcosa di caldo alla ragazza. Non ... non vorrai che mi muoia qui! In casa mia! Sù! Andiamo, leprotto! Seguimi!"
Si apprestò ad uscire per procurare da mangiare ad una ragazza di cui non conosceva nome, né faccia.