NEPER - Il Genio del Grano

NEPER - Il Genio del Grano

 

Forse a causa di un’improvvisa stanchezza che gli rallentava il passo, forse per una vertigine, d’un tratto inciampò in un groviglio di radici disposte in così mirabile complessità, così strettamente intrecciate, da sembrare un nido.

Scelse la più grossa di quelle radici per fermarsi a riposare un po’. Era stanco e il braccio escoriato bruciava come fuoco. Sedette e recitò:  

               “Oh, Thot, che hai a cuore la protezione delle ferite,

               proteggi Djoser; che non sia trascinato per le braccia.

              Che non gli sia fatta violenza e possa procedere salvo e…”

Un sibilo lungo e regolare, come di un profondo respiro, interruppe la sua litania. Tese l’orecchio per ascoltare meglio.

“Psss…zzz…  Psss…zzz.” sembrava proprio il respiro pesante di qualcuno che stava dormendo.

“Qualcuno sta russando… Deve esserci qualcuno beatamente addormentato. Chi sarà mai? Forse qualche Anima-Akh sulla strada degli Hotep-Jaru… Non vedo bagliori: le Anime Gloriose non emettono luce?” si chiese guardandosi intorno.

Scoprì che la grossa radice su cui stava seduto era proprio la sporgenza di un nido. Era sistemato all’interno di una larga buca e circondato  dalle radici di un grosso albero.

 Adagiato su un letto di morbido fogliame, qualcuno, raggomitolato su se stesso, era placidamente addormentato.

Si arrampicò sulle radici per guardare meglio e vide un ragazzo. Un adolescente. Poteva avere dieci o undici anni. Dormiva a braccia conserte e ginocchia raccolte. Il petto si gonfiava ritmicamente al respiro e dalle labbra semiaperte usciva quel sibilo quasi musicale che aveva attirato la sua attenzione.

Era tutto verde. Dai capelli ai piedi. Le ciglia socchiuse, verdi anche quelle, si muovevano al ritmo del respiro; le piccole narici fremevano e il sembiante era tutto un sorriso, come se il Deforme-Bes avesse messo dietro la sua fronte, sogni allegri e vivaci.

“Neper! – esclamò, riconoscendolo alla prima occhiata – Ma è il piccolo Neper che dorme nella sua culla.”

Era proprio Neper ed era cresciuto dal loro ultimo incontro. 

Somigliava  sempre più a quella piccola canaglia del suo amico Mosè… a parte il colore della pelle.

Continuò a fissarlo, dall’alto di quel groviglio di rovi, sterpi e radici, seguendo con sguardo quasi d’affetto ogni più impercettibile movimento attraverso cui il fanciullo emetteva sfolgorii e verdi bagliori.

Come richiamato dal suo sguardo, il Genio del Grano, aprì gli occhi e gettò intorno una rapido sguardo fangoso ed annebbiato, poi li richiuse. Li riaprì immediatamente dopo, però, balzando a sedere; non pareva essersi ancora accorto della presenza di Djoser.

“Ohhh! – sbadigliò stendendo le braccia ed aprendo  le  mani e le dita affusolate, da cui spuntavano verdi germogli – Che sonno! Non è ancora tempo… Cosa può avermi svegliato?”

“Sono stato io. Sei cresciuto dall’ultima volta.” esordì Djoser.

“E tu chi sei? Ahhh!...” tornò a sbadigliare il piccolo Genio del grano, scattando in piedi.

“Sei cresciuto dall’ultima volta.” ripetè Djoser.
”E tu chi sei?” Neper rifece la domanda stiracchiandosi e mostrandosi in tutta la persona. Era diventato alto quanto lui, pensò Djoser, e forse anche di più, ma il fisico era rimasto quello svelto e scattante di un adolescente.

“Djoser? – il tono gioioso di Neper-adolescente, spezzò le sue considerazioni – Sei proprio Djoser!”

“Sono proprio Djoser, Colui-che-esce…”

“No! No! – l’interruppe l’altro scrollando il capo; i capelli verdi, arruffati come erba cipollina, sembravano un nido di passeri; dagli occhi partì un bagliore turchese che riempì l’aria di sfolgorii – Non bisogna pronunciare mai invano il proprio nome segreto. So bene chi sei. Mi ricordo di te. Qualcun altro, con malevoli intenzioni, potrebbe anch’egli ricordarsi di te.”

“Davvero? Non ho visto nessuno qui intorno da quando vi ho messo piede, all’infuori di Neper, che ho lasciato fanciullo e ritrovo ragazzo.” 

Djoser gli sfiorò la spalla sinistra su cui era venuto a posarsi un piccolo di airone dal piumaggio grigio-argento. Quella vista gli riportò alla mente l’airone azzurro, la forma assunta dalla sua Anima-Ba e Neper-fanciullo che la prendeva in custodia per attraversare il Mondo-di-Sotto. Stava proprio per chiedergli di quell’airone, ma l’altro lo prevenne:

“Occhi ed orecchie sono nascosti dentro ogni calice, dietro foglie, rami e radici, pronti a portarti via il tuo nome-ren.”  lo informò, con quella stessa espressione che anche il piccolo amico Mosè amava assumere  per le sue confidenze.

“Chi mai potrebbe avere questa intenzione? – replicò Djoser con un sorriso – Non ho veduto nemmeno l’ombra di un’anima defunta da quando sono arrivato qui, come dicevo prima e…”

“Ne sei davvero sicuro?” sorrise Neper, amabilmente e con un pizzico di malizia, scuotendo il capo e facendo oscillare lo stelo di papiro che gli tratteneva i capelli sulla fronte. 

“Non capisco.” insistette Djoser.

Neper allora sollevò il ramo d’ulivo che stringeva nella destra e tracciò nell’aria la sagoma di una nuvola dai riflessi dorati. Djoser credette di vedere abbaglianti lumicini aprirsi e richiudersi in rapida successione al suo interno: un attimo dopo era circondato da una folla di minuscole creature verdi che gli svolazzavano intorno.  Buffi e bizzarri, avevano teste enormi e vaporosi capelli da cui spuntavano fiorellini, foglie e radici.

“Chi… Che cosa sono queste creature?”

Rumorose, vicaci ed anche un po’ impertinenti, le piccole creature gli giravano intorno vorticosamente tenendosi per mano in un allegro girotondo. Agitavano germogli di grano e qualcuna osava addirittura avvicinarsi così tanto al suo naso da stuzzicarlo fino a farlo starnutire, come quando, nella stagione della Germinazione, l’aria si riempiva di pulviscolo di fiori.

“Chi sono queste piccole creature?” domandò ancora il ragazzo, incapace di controllarne l’incontenibile vivacità. Quando cercava di afferrarne qualcuna, eccole sparire tutte, perfettamente mimetizzate nell’ambiente, ma ricomparivano subito dopo più vispe e vivaci ancora. Gli occhietti tondi e luccicanti fissi su di lui parevano torce accese e le faccette verdi si confondevano nell’erba.

“Sono i Genietti del grano e della vegetazione.” spiegò Neper.

“Non capisco.” continuava a ripetere il ragazzo.

“Non capisci? Come fai a non capire? Sono i Genietti del grano e della vegetazione. – sottolineò Neper - Vivono nascosti tra petali di fiori, foglie di grano, muschio e licheni… Guarda. Guarda, Djoser.. arrivano da ogni parte.”

 

Arrivavano a decine, svolazzando nell’aria o spuntando dal suolo o staccandosi da qualche radice; qualcuno arrivò perfino cavalcando piccole, coloratissime farfalle.

“Sono i Genietti dei germogli di grano. Sono loro che al momento della germinazione danno la spinta al chicco che si sveglia dal lungo dormire e spunta di sopra, nella pelle rugosa del generoso Geb, Signore della Terra. Ognuno di quei germogli metterà una spiga che darà agli uomini tanti chicchi.”

E prima che Djoser si riavesse dalla meraviglia:

    “Chicolino, dove sei?” – cominciò a canticchiare - 

    Sotto terra, non lo sai?

    E sotto, non fai nulla?

    Dormo dentro la mia culla.”    

A questo punto gli occhi di Djoser sfavillarono. Quella filastrocca gliela recitava sempre sua madre.

   “Dormi sempre, ma perché?”

   “Voglio crescere come te.” gli fece eco il verde amichetto.

   “E se tanto dormirai, chiccolino, che farai?”

   “Una spiga metterò e tanti chicchi ti darò.”

“Oh!” gioì Djoser, al colmo di una meraviglia che Neper, però, smorzò subito, ordinando ai folletti di tornare nelle loro culle.

“Non è ancora giunto il mio tempo. – spiegò con un sorriso – Se cominciassi a spingere i germogli fuori della pelle di Geb prima del tempo consentito, quelle che i contadini mieterebbero, sarebbero spighe gracili e vuote. Devo tornare alla mia occupazione che… ah..ah… è quella  di  dormire nella mia culla.”

“Capisco!” assentì malinconicamente Djoser.

“E tu devi continuare il tuo percorso. La Settima Ora è davvero vicina.” l’avvertì Neper portandosi una mano sul sopracciglio e aguzzando la vista per fissare i rossi vapori che si staccavano dall’orizzonte; Djoser fece un cenno affermativo del capo.

(continua)

brano tratto dal libro "DJOSER e i Libri di Thot" di Maria Pace

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