La scena é raccapricciante.
Un vecchio giace in mezzo alla strada in una pozza di sangue, trafitto da un pugnale. Un cocchio con a bordo una donna giunge a gran velocità e travolge di proposito il ferito. Quel vecchio é Servio Tullio, VI° Re di Roma e la donna é sua figlia, Tullia Minore.
Ecco come lo storico Tito Livio riporta l’episodio:
“…mentre faceva voltare il cocchio per raggiungere il colle Esquilino, il cocchiere trattenne le redini mostrando alla padrona il giacente trucidato Servio…. resa forsennata dalle Furie – continua il racconto – Tullia fece passare il cocchio sul corpo del padre e portò sul cocchio insanguinato, lorda ed aspersa essa stessa, le tracce dell’eccidio paterno…”
I romani chiamarono “scellerata” quella via che prima si chiamava Urbia.
Ma non era quello il primo orrendo delitto che quella donna violenta ed ambiziosa consumava in seno alla famiglia.
Servio Tullio, VI° Re di Roma, aveva due figlie, tutte e due due di nome Tullia: Maggiore e Minore. Egli le dette in moglie ai due Tarquinii, figli del defunto Re, Arunte e Lucio, per conto dei quali continuava a tenere la Reggenza del regno.
I due, però, non erano più bambini. Erano cresciuti. Erano già uomini.
Lucio Tarquinio aveva superato la quarantina ed aveva figli già soldati e non aveva alcuna intenzione di aspettare un giorno di più per occupare un trono praticamente vacante, senza contare il suo carattere violento, ambizioso e privo di scrupoli.
Al contrario, sua moglie Tullia Maggiore era una donna mite e gentile, assolutamente priva di qualsiasi ambizione.
Afflitta da “muliebris pavor” – l’accusava la sorella, Tullia Minore, che la disprezzava profondamente – e priva “muliebris audacia”.
Di certo quest’altra Tullia, la Minore, era proprio il contrario della sorella: astuta, ambiziosa e implacabile.
Due coppie assai male assortite, dunque e non sappiamo per quali reconditi progetti la Tullia violenta era finita sposa del mite Arunte e la mite Tullia faceva coppia con il violento Tarquinio. Una “miscelanza esplosiva” che poteva scoppiare da un momento all’altro, proprio come accadde.
Sostenuti dal comune ed ambizioso progetto di raggiungere quel trono vacante e di occuparlo, Lucio e Tullia Minore si sbarazzarono degli incomodi coniugi e convolarono a giuste nozze, facendo quale unico scopo di vita, quello di eliminare ogni ostacolo si frapponesse fra le loro ambizioni e quel trono.
Non era facile, però, sbarazzarsi del vecchio Re le cui riforme sociali e politiche gli avevano guadagnato le simpatie del popolo e il suo appoggio: sia dei nuovi ricchi, ma anche dei soliti poveri cui era stato concesso qualche privilegio. Non era facile neppure avvicinarsi alla sua persona, sempre attorniata da una incorruttibile ed agguerrita Guardia del Corpo.
La posta in gioco, però, si faceva ogni giorno più alta, il clima sempre più avvelenato e Lucio Tarquinio non era proprio più disposto ad aspettare; per di più, i rimbrotti della moglie si facevano sempre più accesi e le giustificazioni sempre più convincenti.
Ecco le parole che Dionigi mette in bocca alla figlia di Servio Tullio:
“Uno può anche esitare a compiere delitti a fronte di obiettivi umani. Ma quando la posta in gioco è il trono, allora bisogna osare tutto e non si può essere giudicati per questo…”
I delitti consumati, però, erano tre: l’ingenuo Arunte, la mite Tullia Minore e il tenace Servio Tullio.
Sete di potere, spinta alla rivalsa, vocazione per l’intrigo… Tutte cause che possono spingere al delitto. Eppure, non ci sembra ancora abbastanza. Il Re era vecchio; al principe ereditario bastava pazientare ancora solo un po’ prima di poter sedere su quel trono. Qualcosa di importanza vitale doveva esserci stato per giustificare un comportamento delittuoso così aberrante e mostruoso. Soprattutto da parte di Tullia che di Servio era la figlia.
Che cosa di tanto importante può essere accaduto per spingere la diabolica coppia ad anticipare i tempi? Che cosa può giustifiare un comportamento delittuoso così aberrante e mostruoso. Soprattutto da parte della figlia di Servio Tullio?.
Il motivo, forse, ce lo fornisce ancora una volta lo storico Dionigi. Egli riferisce un discorso fatto al Senato dal Re:
“…per quanto riguarda il Regno, io restituirò il potere al popolo che me lo ha dato… Io mi spoglierò del potere per restituirlo al popolo….”
Servio Tullio intendeva, forse, porre fine alla Monarchia per instaurare una Repubblica?
Se così fosse, tutto diventa più chiaro e perfino comprensibile. Sempre deprecabile, ma comprensibile. Compresa la feroce determinazione di quella figlia snaturata il cui sogno doveva essere sempre stato quello di diventare Regina di Roma.
Assicuratosi l’appoggio, sia pur riottoso dei patrizi, Lucio Tarquinio anticipò le mosse del suocero e si presentò davanti al Senato, (presso cui, in verità, non godeva di gran popolarità né stima) ed in un veemente discorso accusò il Re di detenere illegittimamente un potere che spettava invece ai legittimi eredi, nipoti del defunto Sovrano.
Avvertito dell’incalzare degli eventi, il Re si precipitò in Senato.
Lo scontro verbale fra suocero e genero fu durissimo e Tarquinio vi pose fine scagliandosi sul vecchio Re con un pugnale e scaraventandolo giù dalla scalinata della Basilica del Senato.
Il Re, però, non era ancora morto. Ferito e rantolante, si trascinava in mezzo alla strada quando soggiunse un cocchio che lo travolse e uccise e la tragedia romana si trasformò in una tragedia greca: c’era la figlia a bordo di quel carro ed aveva intimato al suo cocchiere di non fermarsi e di travolgere di proposito il padre.
Il vecchio Re é morto. Viva il nuovo Re!
Lucio Tarquinio era diventato VII° Re di Roma. Lo era diventato, in realtà, contro la volontà del popolo e di buona parte dello stesso Senato, ma egli non se ne curò e per mantenere un potere acquisito con la violenza fu proprio con la violenza che continuò ad esercitarlo, guadagnadosi il titolo di: Superbo.
Titolo meritatissimo.
Al vecchio Re egli negò funerali pubblici ed alla Regina, una fine alquanto misteriosa: Tanaquilla morì subito dopo le esequie del marito; una morte su cui si continua ancora a discutere.
Tarquinio mostrò immediatamente i muscoli: spazzò via avversari ed oppositori, sciolse ogni tipo di Assemblea e ridimensionò il potere dei Senatori. Soprattutto, però, regnò come un vero Despota, prendendo autonomamente ogni decisione su guerre, alleanze, Trattati di Pace senza prima consultarsi con il Senato.
Nel clima di guerre ed alleanze che venne a crearsi, Tarquinio, in verità, si mostrò ottimo stratega: strinse alleanza con i Sabini ( al nobile Ottavio Tuscolano diede in moglie una figlia), strinse Trattati di non belligeranza con Equi ed Etruschi, mosse guerra a Volsci ed Hernici e conquistò con uno stratagemma la città di Gabi. Fu proprio a causa della sua politica espansionistica che la potente Cartagine propose e strinse un Trattato Commerciale con Roma.
Per procurarsi denaro ricorse ad ogni tipo di espediente, lecito ed anche illecito: confisca di beni, sequestro di persone, ecc… Giunse perfino ad imporre una tassa del tipo “una tantum”, che una-tantum non era: era continuativa e presentata sotto vari nomi, con il risultato che, coloro i quali non potevano pagare finivano per indebitarsi con lo Stato e lavorare gratis per Esso.
Bisogna riconoscere, però, che il Superbo utilizzò bene quella enorme risorsa umana gratis o a buon mercato: diede impulso alla edilizia aprendo numerosi cantieri o proseguendo su quelli aperti dal predecessore: il Circo Massimo, numerosi Templi distribuiti in tutta la città, la grande cinta di mura fatte innalzare da Servio Tullio, ecc..
Con il Superbo i confini del regno si erano notevolmente allargati; sempre in guerra con qualcuno, egli conquistò la Sabina, l’Etruria e si spinse fino a Gaeta ed alle foce dell’Arno.
Roma, però, mordeva il freno e malsopportava quella tirannia nonostante avesse raggiunto grande fama e notevole benessere. Roma voleva liberarsi di un tiranno filo-etrusco e per giunta poco rispettoso degli Dei… e soprattutto degli Dei Latini e attese. Attese che facesse un errore e Tarquinio lo fece.
Tarquinio commise un errore che solo la propria natura di superbo poté avergli suggerito e che gli alienò completamente il favore dei romani e segnò l’inizio della sua caduta: ordinò di sgomberare il Campo Marzio e di seminarvi del grano.
Una coincidenza che proprio da quel momento le fortune militari cominciarono ad abbandonarlo?
I romani non avevano dubbi: Marte gli negava i suoi favori.
Correva l’anno 524 e il Superbo si trovava ad Ardea, capitale dei Rutuli, stretta d’assedio.
Tarquinio una notte sognò che alcuni avvoltoi avevano distrutto un nido di aquile.
Avvoltoi sacri alla gente Latina e aquile sacre alla gente etrusca! Altri sogni e segni strani lo avevano inquietato nei giorni scorsi, ma quello gli parve davvero un messaggio divino e lo spinse a chiedere lumi ad un oracolo.
Quali messaggeri, egli inviò a Delfi i due figli minori, Tito e Arunte e con loro anche un nipote un po’ “sciocco”, Giunio Bruto, bersaglio delle birbonate dei due fratelli.
Il responso dovette essere stato davvero catastrofico per il VII° Re di Roma, se i figli chiesero all’oracolo a chi sarebbe andato il Regno.
L’oracolo rispose: “A colui che bacerà sua madre per primo”
I due fratelli decisero che l’avrebbero fatto insieme, ma Giunio Bruto, il cugino “sciocco”, il solo ad aver compreso il messaggio contenuto nell’oracolo, appena giunto in suolo italico si chinò a baciare la terra: Madre di tutti gli uomini.
Ma Tarquinio non era solo superbo e superstizioso (la sua corte ospitava maghi ed indovini) , era anche arrogante e prepotente .
Un giorno giunse a corte una donna con un carico assai particolare: uno scrigno pieno di libri in cui, affermava , vi erano scritti oracoli dettati alla sua Profetessa, da Apollo in persona.
Quella donna veniva da Cuma ed era una Sibilla.
Roma era in guerra con Cuma e una volta ancora Tarquinio mostrò la sua natura arrogante.
Respinse l’offerta, alla qual cosa la Sibilla rispose bruciando tre dei nove Libri Sacri prima di ripeté l’offerta. Seguì un nuovo rifiuto. La Profetessa ne distrusse ancora tre e solo allora il Superbo si decise ad acquistare, al prezzo di nove, i rimanenti tre, che sottopose allo studio di fidatissimi esperti.
L’andamento della guerra, però, nonostante riti e pratiche magiche, continuava a peggiorare e la città di Ardea continuava a resistere. Porsenna, Re di Chiusi, entrò in guerra e mandò il figlio a cingere d’assedio Aricia: dall’esito di quella battaglia dipendevano le sorti di tutta l’Italia centro-meridionale, compreso quelle della monarchia romana che crollerà di lì a poco. A darvi una bella spinta, però, contribuirà un’ulteriore tragedia familiare dei Tarquinii, che funzionerà da causa scatenante.
Di questa tragedia si sono occupati proprio tutti: storici e scrittori classici, storici e scrittori moderni, pittura, cinema, ecc…
I protagonisti! Sesto Tarquinio, figlio maggiore del Superbo, Lucio Tarquinio Collatino, parente del Re e la bellissima Lucrezia, moglie di quest’ultimo.
La vicenda, che qualche moderno storico tende a considerare come semplice “melodramma” , é narrata sia da Tito Livio che da Dionigi, pur con qualche piccola divergenza, ed eccola qui:
Un giorno, Sesto e Collatino, mentre erano sotto la tenda da campo militare, per ammazzare la noia cominciarono a discutere delle proprie consorti ed a scommettere sulla loro virtù.
Inforcati i cavalli, i due decisero di fare loro una visitina a sorpresa. Trovarono la moglie di Sesto che godeva della compagnia di alcuni spasimanti, mentre Lucrezia, la moglie di Collatino, era occupata a tessere e filare.
Sesto prese la cosa assai male: cornificato e perdente, decise di vendicarsi. Riuscì con minacce e lusinghe, più minacce che lusinghe, nel suo sordido intento.
Il giorno dopo, però, Lucrezia riunì tutti i parenti e dopo aver raccontato la violenza subita ed essersi trafitto il petto con un pugnale, chiese di essere vendicata.
Alla tragedia era presente anche Lucio Bruto; egli prese il pugnale ancora insanguinato con cui la donna s’era trafitta e giurò che avrebbe fatto di tutto per vendicarla e per abbattere il potere dei Tarquinii, poi portò il corpo della donna nel Foro e alla folla riunita, tenne un vibrante discorso sulla virtù di Lucrezia e le scelleratezze dei Tarquinii.
La città, che aspettava solamente un pretesto, insorse.
Il Superbo, sotto le mura di Ardea, avvertito dei fatti si dette alla fuga e trovò rifugio a Chiusi presso re Porsenna.
Correva l’anno 509 a.C. e Roma proclamava la Repubblica.