UNA BELLA SERATA D'ESTATE

Entra, accende la luce del corridoio e butta le chiavi sul tavolino dell’ingresso come sempre. A volte gli capita di uscire tirandosi la porta con le chiavi dimenticate sul tavolino. Il cielo benedica la signora Emma vicina di casa con le chiavi per le emergenze, sempre gentile, sempre pronta ad aiutare un vicino scombinato. Si toglie scarpe camicia e pantaloni ”sono a casa mia porca vacca, posso anche girare con le palle per aria!” pensa con un guizzo d’orgoglio. Accende la televisione: programma con i politici che si insultano e si lanciano accuse a vicenda.” Andate a farvi fottere banda di ladri e ruffiani!” Pensa spegnendo la tv con un’espressione schifata. Accende lo stereo: concerto di Colonia, Keith Jarret, pianoforte. Si sdraia  sulla poltrona di cuoio, pelle con pelle una sensazione quasi erotica, d’altronde è l’unica pelle con cui è venuto in contatto ultimamente, anzi no, per la verità un’altra pelle ha accarezzato di recente, quella del suo uccello nei momenti di autoerotismo: certo come avventura sessuale non è il massimo ma con i dispiaceri ricevuti dalle femmine ultimamente è quantomeno più rilassante: concluso il momento d’amore, una sciacquata un’asciugata e fine, niente litigate, polemiche o impegni, niente grane insomma. Mentre ascolta gli svolazzi del pianoforte, con un bicchiere di chardonnay in mano pensa: ”concerto di Colonia 1975,abbiamo circa la stessa età io e quel concerto, però quel concerto resta una meraviglia ancora oggi, io invece sono diventato una mezza schifezza”. Non è il periodo migliore della vita quello che sta vivendo, ammesso che ci sia mai esistito un periodo migliore. Il momento poi non è così entusiasmante: solo, stravaccato su una vecchia poltrona, in mutande e calzini, una afosa sera d’estate. Quella vecchia poltrona era stata di suo padre. Se n’era andato dieci anni prima dopo quarant’anni di gesti sempre uguali, in una fabbrica di cose meccaniche. Suo papà apparteneva a quella infinita schiera di  persone nate e morte senza lasciare traccia di sé: “d’altronde non si può mica essere tutti Leonardo o Michelangelo!” Ragionava fra sé, per riscattare almeno  in parte suo padre, a qui in fondo, aveva voluto bene. Per ricordarlo erano rimaste solo due foto in bianco e nero un po’ sfuocate:  una sul comò, in camera da letto, una all’ultimo piano di un condominio del cimitero monumentale Sotto la foto un vasetto di plastica dorata con un mazzetto di fiori di stoffa sbiaditi come tutta la sua vita. Quella poltrona rischia di diventare il trono per una dinastia di falliti. Guarda verso la porta finestra aperta, le tendine si muovono appena  per un refolo di aria calda, un rettangolo nero e poi un balcone, già, non si vede ma oltre quel rettangolo nero c’è un balcone. Sotto, sei piani più in basso, la strada.

L’ambulanza arriva veloce con i lampeggianti accesi e la sirena che grida, ma potrebbe anche prendersela comoda perché sei piani non regalano niente a nessuno, scende di corsa un forse medico, due dita appoggiate sul collo, un’impercettibile movimento con la testa da destra a sinistra e subito una coperta metallizzata che sembra un gigantesco cuki copre quel corpo in mutande e calzini, immobile sul marciapiede. Un rivolo di sangue già quasi rappreso esce da un orecchio o chissà da dove. Il palazzo anonimo come tanti nelle periferie anonime è buio, anche perché siamo in periodo di ferie, solo al sesto piano una luce accesa che non serve più a nessuno. Per strada poca gente, qualche curioso, pochi commenti: nessuno conosce questo giovane uomo senza capelli, seminudo che non aveva più voglia di vivere. In città non ci si conosce: un milione di sconosciuti, Un giovane giornalista, galoppino della cronaca urbana tenta di sapere qualcosa: solo la signora Emma che custodisce con cura le chiavi potrebbe dirgli qualcosa, ma lei dorme già. Nessuno sa nulla, nessuno lo conosce; ma si, tanto un articolino si mette insieme, due cazzatelle con toni patetici, il solito titolo ”DRAMMA DELLA SOLITUDINE IN UNA CALDA SERA D’ESTATE” che funziona sempre e il tozzo di pane è guadagnato: i giovani sono svegli e imparano presto. Il magistrato di turno e il medico legale hanno finito, si libera il marciapiede. La croce rossa riparte piano, senza sirena e senza lampeggianti, tanto che fretta c’è?

Si sveglia affannato con il cuore che picchia come un compressore, sudato e appiccicato alla poltrona.”Deve essere quella porcata di vino che mi ha fatto venire gli incubi e anche questa sfigata di poltrona, domani la faccio a pezzetti e mi compro una di quelle moderne che ti sembra di galleggiare su una nuvola”. Lo stereo è ancora acceso, Keith Jarrett  ha finito il suo concerto da un pezzo. Spegne tutto ed esce, fuori da quella stupida casa. La porta si chiude: ”merda le chiavi! Non fa niente, suonerò alla signora Emma, almeno lei mi vuole bene,  e non mi manderà al diavolo!” In strada, l’aria tiepida che profuma di tiglio fa sentire bene. Poi lo sguardo cade sul marciapiede e la sensazione è di vedere una macchia marrone, come un’ombra: ”devo smetterla con le mie paranoie deficienti, non c’è proprio niente sul marciapiede, cancella questi pensieri dalla mente, coglione!”

Si dirige verso il parco, lentamente. Camminare nel silenzio delle strade deserte regala nuove sensazioni, rumori quasi sconosciuti: lo scroscio di una fontana, il vento che muove le foglie, un vivace  gorgoglìo d’acqua sotto un grande tombino di ghisa, con lo stemma della città e la scritta <torrente Ceronda ramo destro> svela il piccolo mistero: sotto, scorre un torrente da secoli e  stranamente si rivela proprio in quel momento, nonostante lui abiti in questo quartiere da sempre.

Un respiro profondo con il naso e ancora quel meraviglioso profumo di tiglio che si sente solo nelle sere d’estate, aiuta a riportare un po’di pace dentro, un po’ di sereno nel disordine della testa.

I lampeggianti gialli dei semafori, che si riflettono sulle strade bagnate dal lavaggio, creano una strana atmosfera surreale. Si sente bene, leggero come non succedeva da tempo. Ecco il parco, il vialetto con la ghiaia, intorno alberi altissimi. Vengono incontro cani di varie mescolanze. Un paio di loro scodinzolano e pare che sorridano, altri due abbaiano ma con scarso impegno.

Si ferma a fare quattro chiacchiere con gli umani mentre i cani riprendono a giocare e  annusarsi il posteriore. ”Ho deciso, domani vado al canile a cercare una cagnetta, magari incrociata con tutto l’incrociabile ma che, almeno spero, mi vorrà bene per quello che sono. Ora basta lagne, la vita continua, deve continuare perché… perché domani è un giorno nuovo e un altro pezzo di vita da vivere! Buonanotte a tutti!”